Rame

Il Comune di Force deve la sua maggiore celebrità al fatto di essere la “città dei ramai”, per la specificità di un’arte che ne ha caratterizzato il volto economico per secoli e che ancor oggi è presente. L’introduzione del rame a Force non ha data sicura perché non è contrassegnata da eventi documentati. Ci si muove, di conseguenza, soltanto su delle ipotesi. La più accreditata è quella che ne ricollega la prima origine proprio alla presenza dei Farfensi, monaci operosi promotori di svariate iniziative economiche nella Valle dell’Aso dove impiantarono un poderoso maglio, accertato fin dal Cinquecento, nella località oggi conosciuta come Ponte Maglio. Altri fanno risalire l’introduzione della lavorazione all’arrivo di tribù zingare, particolarmente esperte nel settore, e motivano tale ipotesi con il riferimento al gergo usato dai calderai forcesi del tutto incomprensibile agli altri. Tale gergo però risulta più costruito che ereditato da un gruppo estraneo alla cultura locale. Esso, infatti, era usato dai ramai durante i mercati, per comunicare tra loro senza essere capiti dagli altri frequentatori. Gli artigiani forcesi del rame erano, e sono pur nelle mutate condizioni socio-economiche, mercanti dei loro prodotti e conosciuti in tutta l’Italia Centrale per l’assidua frequenza alle fiere paesane a vendere la loro apprezzata mercanzia, specialmente quella destinata all’agricoltura: pompe irroratrici, solfatici, schiumarole e in particolare caldai per il vino cotto. Altra produzione era destinata a soddisfare le esigenze del quotidiano domestico: caldai, cuccume, conche (graziose anfore aperte, usate per il trasporto dell’acqua potabile), scaldaletti, paioli, recipienti di vario genere. Tra i maestri ramai del passato merita di essere ricordato Felice Rosati, di origine spoletina ma vissuto fin da giovane a Force negli anni a cavallo tra il ‘600 e il ‘700, espertissimo nella sua arte. Se non fu lui l’iniziatore della lavorazione forcese del rame, fu sicuramente colui che la valorizzò, affinandone le tecniche e facendola praticare da quasi tutti i giovani. Dal Settecento alla prima meta del nostro secolo Force ha avuto numerose botteghe di ramai, aperte sulle stradine che tagliano. L’arroccato del paese. La lavorazione del rame è stata fiorente fino alla Seconda Guerra Mondiale. Successivamente, sia per la concorrenza delle produzioni dei laminati industriali a stampo, sia per l’abbandono dell’apprendistato da parte dei giovani, il loro numero ha subito una forte contrazione. Oggi se ne contano appena cinque, ma le loro botteghe sono interessanti da visitare per essere contemporaneamente luoghi di lavoro e di esposizione dei prodotti. Colpisce la semplicità degli strumenti presenti: mazzuoli in legno, martelli, tenaglie, punteruoli, una stanga di legno ed un palo per sostenere gli oggetti durante la battitura e la piccola forgia per cuocere e ricuocere il rame. II lavoro, esclusivamente manuale, trova il gesto più ricorrente nella successione dei colpi sulle “cave”, forme concave provenienti dal maglio. II rame viene cosi “tirato” e modellato secondo le figurazioni volute, reso resistente e lucido. Molti oggetti vengono lavorati a sbalzo e sono destinati all’abbellimento degli interni come ornamenti per pareti o come portachiavi, porta-ombrelli, posacenere. Le “cave”, dalle quali inizia il lavoro del ramaio, vengono ancora preparate a pochi chilometri da Force, a Comunanza, in una fonderia artigianale, una delle poche ancora in funzione in Italia, dove i robusti colpi del maglio le predispongono in diverse dimensioni dal rame appena fuso. II maglio di Comunanza è l’erede diretto di quello di Ponte Maglio e continua cosi la tradizione della fusione del rame lungo la Valle dell’Aso, secondo tecniche che conservano intatta l’esperienza accumulata dalle passate generazioni. Ma a Comunanza, oltre a fondere e produrre “cave”, viene effettuata la lavorazione e la vendita diretta di oggetti di varia forma, grandezza e funzione, soprattutto e non solo, caldai e oggettistica ornamentale per l’arredo domestico. II ciclo del rame vi si svolge intero, dalla materia prima, quasi sempre ritagli e rottami, alla fusione, all’oggetto che si può ammirare ed acquistare pronto per l’uso. A Force rivive la civiltà del metallo delle Marche meridionali. Tale civiltà trova il suo completamento negli ultimi fabbri che dal ferro battuto ricavano splendidi manufatti, presenti in numero ormai esiguo nei Comuni della montagna ascolana. Anch’essi sono da segnalare perché abili forgiatori di oggetti e non solo perché potrebbero essere gli ultimi della nostra terra come di altre, in un mondo che inesorabilmente tende a mutare anche i modi di produzione e di trasformazione.

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